giovedì 27 gennaio 2022

La ricchezza della diversità oggi

Pag. 560


Dalla multiculturalità al multiculturalismo

La necessità di salvaguardare la diversità e di garantirne la libera espressione si traduce nel multiculturalismo. È un progetto di tutela delle diverse culture presenti su un determinato territorio, tramite interventi legislativi e politici.

Le esigenze possono essere molteplici, una comunità religiosa minoritaria, una sede per lo svolgimento del culto. Il primo documento multi-culturalista della storia del Novecento è il Multiculturalism Act, promulgato in Canada nel 1971: La provincia del Québec ha adottato una serie di provvedimenti per garantire la sopravvivenza della lingua e della cultura francesi. Si tratta di una sorta di delega, da parte dello Stato stesso, di una porzione della propria sovranità a quelle realtà locali.

La Catalogna gode di una relativa autonomia, possedendo un proprio governo (la Generalitat de Catalunya) con un parlamento, un consiglio esecutivo e un presidente, nonché una propria lingua, il catalano, che nei documenti ufficiali affianca la lingua nazionale spagnola (il castigliano).

Il multiculturalismo sembra trovare una sua “naturale” collocazione del mondo globalizzato.

 

L’ospitalità agli immigranti: 3 modelli

Il modello tedesco, definito istituzionalizzazione della precarietà, assume come presupposto che l’immigrato sia una “persona di passaggio”, ossia un individuo che per motivi contingenti (perlopiù di lavoro) è temporaneamente presente sul territorio nazionale di un paese diverso dal proprio. Il compito dello Stato ospitante è quello di integrare l’immigrato nel mondo del lavoro, favorire la sopravvivenza dei suoi legami con il paese e con la cultura.

Il modello francese, definito assimilazionista, parte invece dall’idea che, una volta trasferitosi in un nuovo Stato, il soggetto immigrato diventi a pieno titolo un membro della nuova comunità; ciò significa che egli dovrà fare propria la cultura del paese che lo ospita.

Il modello inglese, definito pluralista, lascia spazio per un progetto autenticamente multiculturalista. Il compito dello Stato è assicurare a ogni individuo il libero esercizio dei propri diritti, imponendo come unico vincolo il rispetto del diritto altrui. È consentito alle comunità immigrate di manifestare pubblicamente la propria specificità culturale nel rispetto delle regole e della libertà delle altre persone e delle altre comunità. Perciò nelle scuole britanniche l’esibizione della propria appartenenza religiosa non è vietata. Le comunità musulmane del Regno Unito hanno ottenuto dalle autorità governative alcune significative concessioni relative alla possibilità di conciliare la disciplina delle istituzioni scolastiche con l’osservanza dei propri principi: l’introduzione nelle mense di carne “halal” e il riconoscimento di alcune feste islamiche.

 

Il multiculturalismo è possibile?

Il multiculturalismo è un aspetto della società che si basa sulla convivenza di molti popoli con culture differenti, in cui il giudizio, però, si basa sui parametri “eurocentrici”. Noi non abbiamo il diritto di pronunciarci su norme e consuetudini di comunità diverse dalla nostra, né impedire ai loro membri di attuarle.

In primo luogo, assumere il rispetto della legalità come confine della libera espressione culturale.

Ad esempio, noi tutti siamo disposti ad accettare in teoria che nell’ambito privato ogni individuo o gruppo abbia il diritto di manifestare liberamente la propria diversità. Quel che spesso ci sfugge, è che alcuni aspetti di ciò che possiamo chiamare “ambito privato” hanno in realtà una rilevanza pubblica.

Nessuna comunità etnica, religiosa o culturale può pertanto avanzare le proprie pretese, se esse violano espressamente quei fondamentali diritti dell’individuo che la Dichiarazione Universale del 1948 riconosce come “umani”.

Il multiculturalismo è auspicabile?

Il progetto multiculturalista, innanzitutto, sottolinea la necessità di riconoscere le “diversità culturali” presenti nella società e di tutelarne l’esistenza può essere di fatto un modo per rimarcare una distanza sociale tra noi e “gli altri”.

Pierre-André Taguieff (1946) parla di razzismo differenzialista, per designare un atteggiamento diffuso nelle moderne società occidentali, consiste nella tendenza ad accentuare le differenze culturali tra le diverse comunità in modo da dichiarare impossibile ogni forma di dialogo.

Le culture vengono viste come entità ontologicamente date e immutabili, che attraversano la storia umana senza modificarsi o mescolarsi.

Il nuovo razzismo pensa che la “cultura” plasmi l’essere umano. Eppure, oggi l’appartenenza a una determinata cultura è sempre più il frutto di un’adesione volontaria.

L’essenzialismo culturale può avere risvolti pericolosi sul piano sociale. L’identificazione della cultura con una sorta di “essenza” porta alla convinzione che essa debba venire accuratamente difesa e preservata.

Lo straniero viene percepito non semplicemente come portatore di una diversa prospettiva, ma come colui che può sottrarre una parte importante di ciò che si è. L’essenzialismo culturale porta inoltre a identificare troppo sommariamente le persone con il gruppo sociale a cui appartengono.

 

La prospettiva interculturale

L’atteggiamento più corretto nei confronti della diversità è quello di assumerla come un punto di partenza per impostare il confronto e la crescita comune, usando il termine interculturalismo. Un atteggiamento “interculturalista” deve muovere da due presupposti complementari.

-       Che gli individui e i gruppi possono trovare un terreno comune di dialogo, al di là delle diversità etniche, religiose e culturali

-       Diverse prospettive che debbono confrontarsi

 


L’interculturalismo in prospettiva globale

La prospettiva interculturale nasce da un’attenta lettura di tutti i processi sociali della realtà contemporanea. La finalità dell’interculturalismo è semplicemente la gestione delle relazioni tra cittadini e prevenire i conflitti. Questo aspetto non esaurisce l’orizzonte della cosiddetta “Intercultura” è la costruzione di relazioni umane ricche e significative, fondate sull’apertura all’altro e sul dialogo.

Secondo i principi dell’interculturalismo, l’altro non si oppone all’io, perché ciascuno di noi ha dentro di sé la pluralità.

La prospettiva interculturale aiuta quindi a rompere i gusci nei quali spesso inconsapevolmente ci si chiude per comodità o per pigrizia e ad aprirci a nuovi orizzonti cognitivi, umani, ideali.

 

 

 

 

Che cosa si intende con l’espressione “multiculturalismo?”

-       Il termine multiculturalismo descrive una situazione in cui sono contemporaneamente presenti gruppi di persone di origini, tradizioni e culture differenti.

 

Quali sono i 3 modelli ideal-tipici di ospitalità agli immigrati, e qual è il migliore?

-       Il modello tedesco, definito istituzionalizzazione della precarietà

-       Il modello francese, definito assimilazionista

-       Il modello inglese, definito pluralistacioè lascia spazio per un progetto autenticamente multiculturalista.

 

Il multiculturalismo è davvero auspicabile?

-       Il progetto multiculturalista, innanzitutto, sottolinea la necessità di riconoscere le “diversità culturali” presenti nella società e di tutelarne l’esistenza può essere di fatto un modo per rimarcare una distanza sociale tra noi e “gli altri”.

 

Che cosa sono il razzismo differenzialista e l’essenzialismo culturale?

-       Il razzismo differenzialista designa un atteggiamento diffuso nelle moderne società occidentali e consiste nella tendenza ad accentuare le differenze culturali tra le diverse comunità in modo da dichiarare impossibile ogni forma di dialogo.

-       L’essenzialismo culturale può avere risvolti pericolosi sul piano sociale. L’identificazione della cultura con una sorta di “essenza” porta alla convinzione che essa debba venire accuratamente difesa e preservata.

Lo straniero viene percepito non semplicemente come portatore di una diversa prospettiva, ma come colui che può sottrarre una parte importante di ciò che si è.

L’essenzialismo culturale porta inoltre a identificare troppo sommariamente le persone con il gruppo sociale a cui appartengono.

 

Perché l’interculturalismo è l’atteggiamento più corretto nei confronti della diversità?

-       La finalità dell’interculturalismo è semplicemente la gestione delle relazioni tra cittadini e prevenire i conflitti. Questo aspetto non esaurisce l’orizzonte della cosiddetta “Intercultura” è la costruzione di relazioni umane ricche e significative, fondate sull’apertura all’altro e sul dialogo.

Secondo i principi dell’interculturalismo, l’altro non si oppone all’io, perché ciascuno di noi ha dentro di sé la pluralità.

La prospettiva interculturale aiuta quindi a rompere i gusci nei quali spesso inconsapevolmente ci si chiude per comodità o per pigrizia e ad aprirci a nuovi orizzonti cognitivi, umani, ideali.

martedì 25 gennaio 2022

Dall’uguaglianza alla differenza

 Pag. 556

Il valore dell’uguaglianza

Scaturito dalle riflessioni degli illuministi, il valore dell’uguaglianza è invocato con particolare passione nelle battaglie della borghesia rivoluzionaria, in opposizione ai privilegi di classe della nobiltà e del clero.

Da lì poi è confluito nelle costituzioni dei moderni Stati liberali, l’idea di uguaglianza è stata impugnata per combattere le discriminazioni attuate a danno dei soggetti sociali più deboli.

L’uguaglianza può essere intesa in due modi principali:

-       L’uguaglianza formale (= Prerogativa originaria da tutelare)

-       L’uguaglianza sostanziale (= condizione da promuovere concretamente)

L'uguaglianza formale, a norma del primo comma dell'art. 3 Cost., “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".

Lo Stato realizza l’uguaglianza sostanziale tra i cittadini, nel modo che, ad esempio, tutti hanno il diritto di conseguire la laurea (uguaglianza formale), ma se un ragazzo si trova in una famiglia povera non può proseguire gli studi; lo Stato deve intervenire (con una borsa di studio) per rimuovere questo ostacolo, in modo da rendere sostanziale l'uguaglianza fra i cittadini.

 

Il valore della diversità

Se è vero che i cittadini sono tutti uguali dal punto di vista di ciò che lo Stato richiede e offre a loro, è anche vero che sono diverse le loro esigenze, e quindi le loro richieste nei confronti dello Stato stesso.

Il primo ambito in cui emerse questa “diversità” è quello della professione di fede. Si avvertì l’esigenza di tutelare la varietà delle confessioni e delle forme di culto, anche di quelle socialmente minoritarie.

La tolleranza, teorizzata da diversi intellettuali, tra questi John Locke (1632 – 1706) nel “Saggio sulla tolleranza” (1667) e nella “Lettera sulla tolleranza” (1689). Affermò che, nel disciplinare la vita sociale, la legge dello Stato deve arrestarsi di fronte a quelle sfere di pensiero e di attività in cui ogni persona può far valere le proprie preferenze e convinzioni: tali sono le decisioni della vita privata, ma anche le opinioni filosofiche e le pratiche religiose.

Il filosofo Voltaire (1694 – 1778) nel “Trattato sulla tolleranza” (1763) esorcizzò l’intolleranza come uno dei peggiori mali sociali, invitando a convivere in spirito di fraternità.

Tale diversità, anziché essere un fattore negativo o perturbante, poteva trasformarsi in strumento di confronto e di crescita.

 

Il Novecento: relativismo e movimenti sociali

Nel corso del XX secolo, è stata conferita all’idea di “diversità” una forza sempre maggiore:

-       La consapevolezza (relativismo) ha suggerito che la pluralità delle interpretazioni e dei linguaggi a cui la filosofia e la scienza si affidano è una caratteristica ineludibile di ogni rapporto dell’uomo con il mondo

-       Lo sviluppo delle scienze sociali ha reso coscienti di come la stessa realtà quotidiana sia il prodotto di costruzioni e pratiche simboliche che variano sensibilmente a seconda del contesto socioculturale in cui si vive

Il movimento femminista, nato con l’intento di emancipare le donne da uno stato di subordinazione giuridica e sociale, in un secondo momento è giunto a sottolineare positivamente e con forza la specificità della realtà femminile e ad additare nell’universo simbolico che caratterizza le donne un’alternativa all’ideologia patriarcale del mondo occidentale.

 

Il caso degli afroamericani

Nel movimento dei neri americani, nella sua lotta contro la discriminazione l’obiettivo di questo movimento era la conquista dei diritti civili. Il suo orizzonte teorico era perciò l’ideale dell’uguaglianza, come emerge dal suggestivo discorso “I have a dream” tenuto il 28 agosto 1963 da Martin Luther King (1929 – 1968).

Nel movimento dei neri americani maturò una nuova consapevolezza, ossia la necessità di combattere la discriminazione e il pregiudizio con strumenti socialmente dominanti e di recuperare quindi una propria identità etnica e culturale, sul piano linguistico come su quello delle tradizioni, delle usanze, delle pratiche sociali.

Racconta dei disperati sforzi da lui compiuti da ragazzino per rendere i propri cappelli simili a quelli dei coetanei bianchi, a tal punto da rifiutare perfino il proprio aspetto fisico.

Le ansie riflettevano probabilmente un atteggiamento che rimase a lungo diffuso in buona parte della popolazione afroamericana. Alcuni studi compiuti dallo statunitense Kenneth Clark (1914 – 2005) su un gruppo di bambini di colore. Ai bimbi venivano presentati diversi tipi di bambole, alcune bianche, altre nere. La maggior parte dei bambini preferiva giocare con le bambole bianche, ritenendole più belle.

 

 

 

Com’è stato letto il valore dell’uguaglianza nel corso della storia?

-       Il valore dell’uguaglianza è invocato con particolare passione nelle battaglie della borghesia rivoluzionaria, in opposizione ai privilegi di classe della nobiltà e del clero.

 

Quando la diversità comincia a diventare un valore e perché?

-       Si avvertì l’esigenza di tutelare la varietà delle confessioni e delle forme di culto, anche di quelle socialmente minoritarie.

 

In che modo i movimenti sociali del Novecento contribuiscono a connotare l’idea di diversità?

-       Il movimento femminista, nato con l’intento di emancipare le donne da uno stato di subordinazione giuridica e sociale, in un secondo momento è giunto a sottolineare positivamente e con forza la specificità della realtà femminile e ad additare nell’universo simbolico che caratterizza le donne un’alternativa all’ideologia patriarcale del mondo occidentale.

-       Nel movimento dei neri americani, nella sua lotta contro la discriminazione l’obiettivo di questo movimento era la conquista dei diritti civili. Il suo orizzonte teorico era perciò l’ideale dell’uguaglianza, come emerge dal suggestivo discorso “I have a dream” tenuto il 28 agosto 1963 da Martin Luther King.

lunedì 17 gennaio 2022

Disoccupazione, Il lato oscuro dello sviluppo




Argomenta a partire dal periodo pandemico come il mercato del lavoro, le politiche legate all’occupazione, le politiche economiche e la gestione della comunicazione ne ha risentito.

In particolare, secondo te, la comunicazione è stata appropriata, sia quella istituzionale sia quella dei mass media.

Il mercato del lavoro in che modo ha reagito e le politiche a livello nazionale europeo, anche internazionale, sono state adeguate?

Quali sono state le priorità della politica nel gestire i vari aspetti nel gestire questa emergenza, coincidono con quelli che secondo te dovrebbero essere?

            



 

Mercato di Lavoro

Il mercato del lavoro è per definizione un “insieme dei meccanismi che regolano il processo di incontro tra imprese che domandano lavoro e lavoratori che lo offrono…” (Definizione Treccani). 

 

In questo modo si determinando i livelli salariali e occupazionali. I servizi lavorativi rappresentano una merce, che può essere scambiata come le altre con una somma di denaro definita contrattualmente. Quindi il mercato del lavoro è uguale a quello in cui si scambiano altri beni e servizi, nel quale i venditori, rappresentati dai lavoratori, e gli acquirenti, cioè imprese e imprenditori, si incontrano in uno scambio del lavoro, cioè il prodotto. 

Il lavoratore, però, non vale come merce, in quanto mantiene la dignità umana e tali diritti inviolabili. L’operaio offre solo ed esclusivamente il suo servizio, la mano d’opera.

Il lavoro è differente, per molti aspetti, da tutte le altre merci e dagli altri fattori produttivi, perché il rapporto di impiego coinvolge i
n modo profondo l’individuo. La natura personale della prestazione lavorativa spiega perché la libertà di contrattazione delle parti sia limitata, in vario modo, da organizzazioni o da leggi, a tutela dei diritti della persona. In primo luogo, generalmente, i lavoratori non prestano la loro attività a giornata, ma con contratti a lungo termine e ciò rende differente il mercato rispetto a quelli con contrattazione competitiva a pronti. Tali contratti dovrebbero stabilire le combinazioni di salario e occupazione per ciascuno stato della natura, per esempio, per le diverse situazioni di recessione ed espansione. Tuttavia, per entrambe le parti la stipula comporta elementi di incertezza, che possono essere eliminati solo parzialmente dopo il perfezionamento del contratto stesso. L’avversione al rischio dei lavoratori implica che in alcuni casi vengano adottati contratti impliciti.

La produttività dipende anche dalla modalità con cui il rapporto di lavoro è strutturat
o, e in particolare dalla formula retributiva. I processi tecnologici e organizzativi non sono infatti così deterministici da togliere ogni autonomia al lavoratore. Uno degli aspetti della complessità della gestione delle risorse umane deriva dal fatto che l’informazione è imperfetta, per cui sia alcune caratteristiche intrinseche dei lavoratori, cioè le loro abilità, sia le loro attività non sono direttamente osservabili, né verificabili. Il mercato, quindi, spesso non opera secondo le leggi concorrenziali della domanda e dell’offerta, e sono le imperfezioni informative, il potere di mercato, le rigidità e le istituzioni a giocare un ruolo rilevante, spesso a impedire che la domanda eguagli l’offerta di lavoro, creando disoccupazione. Per esempio, i lavoratori sono spesso rappresentati dal sindacato che aumenta il potere contrattuale degli insider. Molti scambi tra loro e le imprese non avvengono direttamente sul mercato, ma sono mediati all’interno delle imprese, cioè hanno luogo nel cosiddetto mercato interno. 

Questo definisce le procedure utilizzate nell’azienda per muovere gli occupati da un posto a un altro e per stabilirne i percorsi di carriera. Le società possono acquistare le risorse umane di cui hanno bisogno ricorrendo al mercato esterno, eventualmente offrendo un salario più alto rispetto a quello dei concorrenti, oppure al mercato interno, coltivando la professionalità dei propri dipendenti, investendo nella loro formazione, e garantendosi, in questo modo, la disponibilità delle risorse umane di cui prevedono di avere bisogno.

 

Lavoro durante il Lockdown

Alcuni concetti ricorrenti in ambito lavorativo durante il cosiddetto lockdown avvenuto nel 2020 sono stati il “homeworking”, che si basava su un lavoro in remoto, da casa, la digitalizzazione dei mestieri, che permetteva un servizio anche a distanza, e il reskilling. Mentre gli altri aspetti verranno ripresi in seguito, ci concentriamo momentaneamente sul reskilling. È un percorso che permette all’individuo di reinventarsi in ambito lavorativo, studiando, aggiornandosi, dare un’occhiata a mestieri diversi e cambiare la propria carriera, oppure addirittura inventando nuovi mestieri. 

Nel dramma che non ha permesso a milioni di persone di lavorare, tanti lavoratori, impossibilitati a proseguire la loro normale attività, si sono ingegnati nelle settimane di quarantena per re-inventare il proprio mestiere oppure per impararne uno nuovo, da continuare poi anche a lockdown finito. 

In quarantena, diverse aziende e singoli professionisti hanno offerto anche gratuitamente i propri corsi di formazione online: cucina, social media, bricolage, persino finanza. Una buona occasione per chi di solito non ha tempo di cimentarsi con le proprie passioni extra-lavoro.

Un esempio direttamente da Bolzano, è il caso di Laura Fecchio, titolare di un centro estetico. Come molti altri, ha dovuto chiudere per mesi la sua attività.

Come mettere a frutto il tempo a disposizione allora? Con dei corsi di marketing online e per i social, che hanno permesso al suo centro estetico di svoltare ampliando di molto anche i servizi offerti: “Ho seguito un percorso di promozione digitale negli ultimi mesi e ho capito che quella era l’unica soluzione. Ovviamente non ho fatto tutto da sola, sono seguita da un’azienda specializzata. Riunioni, confronti e pianificazioni per capire come comportarci”. 


Per parecchio tempo Laura si è quindi dovuta confrontare con argomenti non suoi (la comunicazione sui social), ma che poi sono tornati utili per la sua attività: “Mi sono praticamente attaccata a telefono e computer otto ore al giorno”. E così i canali web del centro estetico non sono solo diventati un veicolo per l’e-commerce, ma profili interessanti anche per chi non necessariamente è intenzionato a comprare: “Non abbiamo smesso di parlare del lavoro nel centro, ma parlavamo anche di noi e di come stavamo vivendo quel periodo. Smorzando i drammi e cercando sorrisi”. 

(Dolomiti – 11 Settembre 2020)

 

Disoccupazione durante il lockdown

            Nella tradizione di pensiero classico-marxiana il mercato del lavoro è rappresentato come il punto di incontro fra la classe dei lavoratori, che non possiede i mezzi di produzione, e la classe dei capitalisti che invece controlla il processo produttivo. La disoccupazione ha luogo in assenza di questo accordo.

Il problema della disoccupazione, o, almeno, della ricerca delle possibili vie percorribili per ridurne l’entità e le cause, è stato sempre considerato uno dei temi centrali della politica economica.

            Concentrandosi sulla ricerca sui benefici del mondo reale si riconosce come la pandemia COVID-19 abbia esposto e fortemente inasprito le ingiustizie esistenti nel mercato del lavoro. Milioni di lavoratori hanno lavori precari che sono incerti nella continuità e la quantità di lavoro, non pagano un salario di sussistenza, non danno ai lavoratori il potere di sostenere le loro esigenze, o non forniscono l'accesso ai benefici di base. Il potere e il privilegio sono fattori determinanti di chi è a rischio per il lavoro precario, con le comunità storicamente emarginate essere sproporzionatamente vulnerabili a queste condizioni di lavoro. A loro volta, le persone con lavoro precario sperimentano stress cronico e incertezza, mettendoli a rischio per la salute mentale, fisica, e problemi relazionali. Questi fattori di rischio possono ulteriormente peggiorare gli effetti della crisi del COVID-19, esponendo contemporaneamente le ingiustizie che esistevano prima delle crisi.

       


     Inoltre, in una reazione a catena, le aziende si ritrovano nella posizione di non poter più mantenere un certo numero di dipendenti. Le persone, a causa delle giustificate restrizioni, non escono di casa, non fanno attività, non viaggiano, non consumano. Senza il consumo di beni e servizi, le aziende che producono quest’ultimi non ricavano un profitto, devono mettere in stand by la produzione o addirittura chiudere i battenti. I lavoratori, non potendo produrre, si ritrovano, sì, con un’occupazione, ma senza lavoro. Senza lavoro non può esserci una retribuzione in quanto nemmeno l’azienda può permettersi di pagare i suoi dipendenti in una fase di stallo. Ciò, oltre a causare disagi di vario genere, crea anche un alto tasso di povertà. Chi prima poteva vantare almeno la stabilità economica, ora non arriva a fine mese.

 

Distanziamento sociale

            Un effetto sociale ricorrente in periodo pandemico è l’asocialità dell’individuo. Non solo un senso di apatia ha accomunato molte persone durante la quarantena, ma l’assenza di rapporti sociali ha aumentato la difficoltà di molti a socializzare.

Nel mondo del lavoro, un fattore di fondamentale importanza è il contatto umano tra datore di lavoro, lavoratore, acquirente, in uno scambio sociale. Ecco, questo rapporto umano va a perdersi nella distanza causata dalle misure restrittive.

Il lavoro online non è un fenomeno nuovo e già il lavoro per telefono era stato criticato per la mancanza di empatia e relazione umana. Ma con la pandemia molti lavori sono stati digitalizzati e la distanza tra le persone è aumentata. 

A seguire una statistica prodotta dal politecnico di Milano e pubblicata da “La Repubblica”:


 

Si nota un alto tasso di lavoratori che lavorano da casa, il che crea una barriera non indifferente nei rapporti che si instaurerebbero tra i vari individui, creando un danno a livello umano.           

Il mercato del lavoro si è adeguato a questa situazione attraverso norme e sistemi avanzati per la realizzazione di un posto di lavoro adatto all’emergenza. Come diretta conseguenza è aumentato il lavoro complessivo nei vari ambiti lavorativi.

La comunicazione ha perso di qualità e quantità, in quanto si limita a videochiamate e social media. Questo ha un impatto molto forte sul livello di informazione e sulle informazioni false, che, in questo modo, hanno libertà di circolare indisturbate.

I flussi migratori del Novecento

 Unità 19 Pag. 553

La decolonizzazione

Nel corso del Novecento l’Europa, da terra di emigrazione, è diventata terra di immigrazione. Due eventi storici stanno alla base di questa trasformazione:

-       La decolonizzazione

-       La crisi dei regimi totalitari a ispirazione comunista

Il termine decolonizzazione indica il processo che ha investito i paesi afroasiatici, affrancati dal dominio politico ed economico degli Stati europei che li avevano occupati.

Il significato di questo fenomeno si basa ad un fatto avvenuto nella seconda metà del Novecento, quando molti Stati europei, mossi da fattori di natura economica e da motivazioni di ordine politico-ideologico, si avventurarono alla conquista del continente africano e quello asiatico.

La colonizzazione ebbe conseguenze dirompenti sui paesi occupati. La spartizione dei territori avvenne senza considerazione delle tradizioni culturali e linguistiche preesistenti, con l’effetto di creare conflitti. Non meno devastanti furono, per i paesi colonizzati, le conseguenze sul piano economico, poiché le attività primarie furono piegate alle esigenze degli Stati colonizzatori con la creazione dell’agricoltura e piantagione, finalizzata all’esportazione. Le manifatture locali, non reggendo l’industria occidentale, subirono una brusca battuta d’arresto.

Le popolazioni locali si trovarono a dover fronteggiare una situazione di precarietà generalizzata: la carenza di strutture necessarie per un reale sviluppo economico e la frequente instabilità politica, spesso culminante in vere e proprie guerre civili, innescarono flussi migratori verso l’Europa.

Inizialmente le mete furono i paesi dell’Europa nord-occidentale: Francia, Germania, Belgio, Gran Bretagna. Molte nazioni europee hanno cercato di porre un freno all’afflusso di immigranti. I flussi migratori non si sono affatto arrestati, ma hanno semplicemente mutato destinazione: Italia, Spagna, Portogallo. Lì lo sviluppo industriale e la carenza di manodopera locale in determinati settori richiedevano l’afflusso di lavoratori stranieri.

 

Il crollo del comunismo

L’altro evento decisivo per spiegare i flussi migratori è il crollo dei regimi totalitari di ispirazione comunista che governavano i paesi dell’Est europeo. Incapaci di realizzare concretamente gli ideali di uguaglianza e di giustizia sociale a cui ispiravano, e soprattutto di promuovere uno sviluppo economico, questi Stati sono giunti al termine della loro storia politica in un intervallo di tempo brevissimo.

I nuovi Stati nati dalle macerie dei vecchi totalitarismi hanno dovuto affrontare una pluralità di problemi. Al risveglio dei particolarismi locali, sfociati in guerre intestine, si sono aggiunte la precarietà delle neonate istituzioni democratiche e soprattutto la gravissima crisi economica: disoccupazione, mercato nero e inflazione.

L’emigrazione è apparsa a molti l’unica risorsa per cercare una vita migliore. Si sono ritrovati costretti a imboccare la strada dell’uscita clandestina dal proprio paese, finendo per trasformarsi in vittime di quanti hanno deciso di approfittare della situazione per arricchirsi.

 


La globalizzazione – persone e idee in movimento

Nella società industriale avanzata, la sempre più stretta interdipendenza economica, politica e culturale tra le varie parti del mondo favorisce una mobilità sul territorio che stimola la diffusione e la condivisione di consuetudini e conoscenze. Esiste una grande quantità di persone che si spostano per ragioni di tipo diverso: lavoro, studio, affari, svago.

Lo sviluppo dell’industria culturale, e in particolare dei mass media, produce un afflusso continuo e consistente di informazioni tra le diverse parti del mondo, il che richiede, per un suo svolgimento, un linguaggio comune e mette in contatto persone di varia appartenenza geografica, etnica e sociale, favorendo il diffondersi di pratiche e conoscenze nate in contesti culturali molto differenti.

 



 

In che modo avvennero gli incontri tra culture diverse nel mondo antico?

-       La causa dei mescolamenti e sovrapposizioni di popoli e civiltà nel corso dei secoli, con effetti socioculturali evidenti, che hanno avuto come risultato una apparente “cultura” unitaria, sono state continue invasioni, guerre movimenti di colonizzazione, ma anche attraverso il mercato, viaggi di esplorazione e scambio di beni culturali.

 

Perché la nascita dello Stato moderno contribuì alle dinamiche di scambio tra culture?

-       La formazione dello stato moderno ebbe inizio tra il Quattrocento e il Cinquecento e nacque dall’incontro di due poteri complementari:

o   L’accentramento del potere nelle mani del sovrano

o   La determinazione di confini territoriali precisi

Tutte le persone risiedevano in una porzione di spazio di spazio determinata, in cui si esercitava la sovranità del monarca.

Il processo di unificazione territoriale provocò il frequente accorpamento in un unico Stato di comunità diverse.

Le “culture” sono il prodotto di sintesi e sovrapposizioni tra mondi diversi, il cui incontro ha generato qualcosa di nuovo, o viceversa l’esito di una frammentazione di ciò che si presentava come una civiltà compatta e indifferenziata. Nessuna cultura immodificabile si trasforma e si modella in base alle esigenze della storia.

 

Quali sono i due eventi storici che stanno alla base dei flussi migratori del Novecento?

-       Le popolazioni locali si trovarono a dover fronteggiare una situazione di precarietà generalizzata: la carenza di strutture necessarie per un reale sviluppo economico e la frequente instabilità politica, spesso culminante in vere e proprie guerre civili, innescarono flussi migratori verso l’Europa.

-       L’altro evento decisivo per spiegare i flussi migratori è il crollo dei regimi totalitari di ispirazione comunista che governavano i paesi dell’Est europeo. Incapaci di realizzare concretamente gli ideali di uguaglianza e di giustizia sociale a cui ispiravano, e soprattutto di promuovere uno sviluppo economico, questi Stati sono giunti al termine della loro storia politica in un intervallo di tempo brevissimo.

Multiculturalità

Unità 19 Pag. 548

 

Incontro delle culture del mondo antico

La causa dei mescolamenti e sovrapposizioni di popoli e civiltà nel corso dei secoli, con effetti socioculturali evidenti, che hanno avuto come risultato una apparente “cultura” unitaria, sono state continue invasioni, guerre movimenti di colonizzazione, ma anche attraverso il mercato, viaggi di esplorazione e scambio di beni culturali. Alcuni esempi potrebbero essere i culti e miti della civiltà della Grecia antica, oppure l’impero persiano, che unificò popolazioni geograficamente e culturalmente distanti. 

Alessandro Magno (356 – 323 a.C.) 

proseguì una politica di sintesi e di scambio tra le varie culture, ad esempio incoraggiando matrimoni misti e preservando e tutelando la cultura dei popoli sottomessi. I popoli vinti, infatti, operarono una sorta di “colonizzazione culturale” nei confronti dei loro conquistatori. La Grecia introdusse nella cultura latina importanti mutamenti a livello di consuetudini, modelli di vita, valori.

La cultura meridionale dell’Europa è caratterizzata dai simboli e valori incarnati dal cristianesimo e l’eredità filosofica del mondo classico, greco in particolare.

 

Gli effetti dello stato moderno

La formazione dello stato moderno ebbe inizio tra il Quattrocento e il Cinquecento e nacque dall’incontro di due poteri complementari:

-       L’accentramento del potere nelle mani del sovrano

-       La determinazione di confini territoriali precisi

Tutte le persone risiedevano in una porzione di spazio di spazio determinata, in cui si esercitava la sovranità del monarca.


Il processo di unificazione territoriale provocò il frequente accorpamento in un unico Stato di comunità diverse.

Le “culture” sono il prodotto di sintesi e sovrapposizioni tra mondi diversi, il cui incontro ha generato qualcosa di nuovo, o viceversa l’esito di una frammentazione di ciò che si presentava come una civiltà compatta e indifferenziata. Nessuna cultura immodificabile si trasforma e si modella in base alle esigenze della storia.

 

Gli effetti della colonizzazione

In seguito alle scoperte geografiche e alle navigazioni transoceaniche iniziò il fenomeno della colonizzazione, cioè l’occupazione, a scopo di popolamento o di sfruttamento economico, delle “nuove” terre da parte dei popoli “scopritori”.

Gli spagnoli e i portoghesi con il trattato di Tordesillas (1496) si spartirono il controllo del cosiddetto “Nuovo Mondo”.

Le masse indigene furono sottomesse e costrette a lavorare per i nuovi dominatori.

Nel corso del Seicento anche gli olandesi, gli inglesi e i francesi cominciarono a insediarsi cominciarono a insediarsi sui territori americani centro-settentrionali: in questio caso la colonizzazione fu il risultato di diversi fattori, di natura non solo economica, ma anche, in particolare per gli inglesi, politica e religiosa.

La nascita degli Stati Uniti d’America, avvenuta nel 1783, portò ad una penetrazione verso ovest, massacrando le popolazioni native e procedendo con ulteriori ondate migratorie provenienti dall’Europa.

Nel 1921 il governo statunitense promulgò l’Immigration Act, la prima legge destinata a regolamentare l’afflusso di stranieri.

Un ultimo fattore che incise molto sulla fisionomia sociale e culturale del Nuovo Mondo fu la tratta dei neri, che a partire dal Cinquecento trasportò dal continente africano milioni di individui, destinati a lavorare come schiavi nelle piantagioni e nelle miniere.



Stato moderno

Pag. 460   L’attributo fondamentale dello Stato moderno è la sua sovranità: con il termine si indica un potere sommo, da cui derivano tutti ...